IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato,  all'esito  dell'udienza  camerale  del 9 giugno
2003, la seguente ordinanza.
    Sull'appello presentato il 15 settembre 2000 dal difensore di Rea
Francesco  avverso  l'ordinanza  emessa  dal g.i.p. in sede in data 4
luglio  2000  con la quale veniva rigettata l'istanza di declaratoria
d'inefficacia  della  misura  applicata  nei  confronti  del  Rea con
ordinanza  del  16  febbraio 2000 ai sensi dell'art. 297, terzo comma
c.p.p.,  decidendo  in  sede di rinvio a seguito dell'annullamento da
parte  della  Corte  di cassazione, con sentenza del 2 febbraio 2001,
dep.  1°  marzo  2001,  dell'ordinanza di questo tribunale in data 10
ottobre  2000  che  aveva,  in  accoglimento  del gravame, dichiarata
l'inefficacia  della  misura  ed  imposto al Rea il divieto di dimora
nelle Province di Napoli, Avellino, Benevento e Caserta;
    Rilevato  che,  con  la surricordata sentenza di annullamento, la
Cassazione  ha  censurato  tale  decisione  per  violazione  di legge
affermando  il  principio  che «come si desume in modo inequivoco dal
tenore  letterale  e  logico della norma richiamata, il divieto della
contestazione  a  catena  opera nel caso - (come quello di specie) in
cui  sia  stata  disposta  con  piu'  ordinanze  la  medesima  misura
cautelare  per  fatti  diversi  commessi anteriormente alla emissione
della prima ordinanza - sempre che in relazione a tali fatti sussista
connessione  ai  sensi dell'art. 12 comma primo lett. b) e c) c.p.p.,
limitatamente  ai  casi  di  reati  commessi per eseguire gli altri e
sempre  che si tratti di fatti desumibili dagli atti del procedimento
prima  del  rinvio  a  giudizio  disposto  per  il fatto con il quale
sussiste connessione» e rilevando altresi' difetto di motivazione per
aver  il  tribunale  omesso «di indicare sulla base di quali concreti
elementi  e'  stato  raggiunto  il  convincimento  che l'attivita' di
intercettazione  fosse  sicuramente tale da integrare in se stessa la
sussistenza  di  elementi  indiziari gravi e precisi e concordanti in
ordine  ai  fatti  tutti  oggetto della seconda ordinanza di custodia
cautelare  ivi  compresa  la  individuazione  dei  partecipi  al clan
Veneruso»;
        che,  con  ordinanza  del 21 agosto 2001, questo tribunale ha
ritenuto non manifestamente infondata, in relazione all'art 13, comma
quinto    della    Costituzione,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'  art. 297,  terzo  comma nella parte in cui non
prevede  che  la  norma  stessa si applichi anche a fatti diversi, in
connessione non qualificata ai sensi dell'art. 12 comma 1, lett. b) e
c)  c.p.p.,  oggetto di ordinanze emesse in tempi diversi, sempre che
di   essi  si  accerti  in  modo  incontestabile  la  sussistenza,  a
disposizione   dell'autorita'   giudiziaria,   di  idonei  indizi  di
colpevolezza  gia'  al momento dell'emissione del primo provvedimento
cautelare.
        che,  con  ordinanza n. 151/2003 depositata il 9 maggio u.s.,
la  Corte  costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilita'
della questione rilevando che:
          nelle  ipotesi  in  cui  i  principi costituzionali vengono
invocati  dal  giudice  di  rinvio  per  contrastare  il principio di
diritto affermato in fase di legittimita' ed evitarne l'applicazione,
la   motivazione   della   rilevanza   della   questione   dev'essere
particolarmente rigorosa;
          la  Corte  di legittimita' aveva censurato la decisione del
tribunale  sotto  l'ulteriore  profilo  che  questa  avesse omesso di
indagare  il  rapporto esistente tra i primi delitti e quelli oggetto
della   seconda   contestazione,   in   particolare   la  fattispecie
associativa;
          su  tale  specifico  punto, l'ordinanza di rimessione si e'
limitata  ad  affermare,  senza  motivare, la reciproca autonomia dei
delitti  di omicidio oggetto della prima e della seconda ordinanza di
custodia   cautelare,   soggiungendo  che  la  la  giurisprudenza  di
legittimita'  sarebbe  pressocche' concorde nell' escludere i vincolo
della connessione qualificata tra il delitto associativo ed i delitti
compiuti dagli associati;
          con  quest'ultima affermazione, il remittente si sottrae al
dictum  della  Cassazione  che, censurando la mancanza di motivazione
sul  punto, aveva invece mostrato inequivocabilmente di orientarsi in
senso   difforme   dalla   giurisprudenza  citata  dall'ordinanza  di
rimessione;
          poiche',  secondo  l'interpretazione  resa nella specie dal
supremo   collegio,   il   divieto  di  contestazioni  «a  catena»  e
indubbiamente  operante  nel  caso  di reati legati dal vincolo della
connessione  qualificata, per dimostrare il carattere concreto di una
questione  di  legittimita' costituzionale tendente ad estendere tale
divieto  alle  ipotesi  di  unicita' della fonte probatoria (nel caso
esaminato,  le  intercettazioni  ambientali)  Il  remittente  avrebbe
dovuto  esporre  le  ragioni per le quali, tra il delitto di omicidio
oggetto  della prima ordinanza e i delitti di omicidio e associazione
per delinquere, oggetto della seconda, non sussistesse alcun rapporto
di   connessione  qualificata,  cosi'  da  rendersi  necessaria,  per
conferire  effettivita'  ai  principi  espressi  dall'  art. 13 della
Costituzione, una sentenza di accoglimento di questa Corte;

                            O s s e r v a

    Che e' pertanto necessario che questo tribunale dia compiutamente
conto delle ragioni, solo sinteticamente espresse nell' ordinanza del
21  agosto  2001,  per  le  quali  la  questione di costituzionalita'
sollevata  appare  non  solo  non  manifestamente  infondata ma anche
rilevante  ai  fini della decisione del gravame proposto dalla difesa
del  Rea  avverso  l'ordinanza  del  g.i.p.  in sede che ha rigettato
l'istanza   di  declaratoria  d'inefficacia  della  misura  cautelare
imposta allo stesso Rea con ordinanza del 15 febbraio 2000.
    In   proposito,   richiamati   i   passi   della  motivazione  di
quest'ultima ordinanza riportati in quella di questo tribunale del 21
agosto  2001,  che  qui  si intende integralmente trascritta, occorre
evidenziare,  quanto ai rapporti tra i due episodi omicidiari oggetto
delle  due  ordinanze cautelari (l'omicidio Fico Porricelli, avvenuto
il  29  gennaio  1997  contestato  con  la prima e l'omicidio Fucile,
avvenuto  il 17 gennaio 1997, contestato con la successiva ordinanza)
che  del  primo delitto il Rea e' chiamato a rispondere n qualita' di
mandante (essendo stato il fatto commesso dal Mollo, che nel corso di
una  conversazione  intercettata  se  ne  dichiara  autore materiale,
assumendo  di  aver  agito  per  dare la dovuta soddisfazione al Rea,
posto che il Fico aveva avuto un ruolo nell'attentato, diretto contro
lo  stesso  Rea,  eseguito da un contrapposto gruppo camorristico, in
cui  aveva trovato la morte il fratello del Rea) mentre del secondo -
eseguito   per   punire   l'avvicinamento  del  Fucile  a  personaggi
appartenenti  ad  un  clan  avverso  -  il  Rea  risponde come autore
materiale  unitamente  al  Mollo  ed ad altri, di tal che, esclusa la
configurabilita'  della  connessione  qualificata  di cui all'art. 12
lett.  c)  nella  sola ipotesi rilevante ai fini dell'art. 297, terzo
comma  c.p.p.  (non  potendosi  neppure  ipotizzare  che  uno dei due
delitti  sia  stato commesso per eseguire l'altro) va pure esclusa la
sussitenza  del  vincolo  della continuazione che e' cosa ben diversa
dalla  riconducibilita'  degli  omicidi  medesimi  «nell'ambito di un
piano  delinquenziale maturato all'interno dell'associazione del clan
Veneruso  (del quale facevano parte il Mollo ed il Rea)» di cui parla
il  g.i.p. posto che altro e' il generico programma dell'associazione
(in  cui  puo'  rientrare anche la commissione di omicidi in danno di
avversari) altro e' il disegno criminoso di cui all' art. 81 c.p. che
richiede  la  rappresentazione, fin dall' inizio, dei singoli episodi
criminosi  individuati  almeno  nelle  loro linee essenziali e che e'
ravvisabile  solo  quando  risulti che l'autore abbia gia' previsto e
deliberato  in  origine  l'iter  criminoso  da percorrere e i singoli
reati  avverso  cui  si  snoda  (Cass.  sez. 1ª, 31 gennaio 2001, CED
218397  che  ha ritenuto che la partecipazione ad un'associazione per
delinquere  non puo' costituire, di per se' sola, prova dell'unicita'
del disegno criminoso fra i reati commessi per il perseguimento degli
scopi dell'associazione).
    L'esclusione delta configurabilita' del vincolo delta connessione
qualificata  o  della  continuazione  tra  i  due  episodi omicidiari
contestati al Rea con le due diverse ordinanze cautelari gia' sarebbe
sufficiente  a  dimostrare  la rilevanza della sollevata questione di
costituzionalita'  atteso che la mancanza di tale requisito, ritenuto
invece  indispensabile dall'interpretazione della norma contenuta nel
principio  di  diritto  enunciato  dalla  Corte  di  cassazione nella
sentenza  rescindente,  comporterebbe il rigetto dell' appello quanto
meno  con  riferimento  all'  individuazione della data di decorrenza
della  custodia  cautelare  imposta  al Rea in relazione all'omicidio
Fucile con l'ordinanza del 15 febbraio 2000 pur risultando, come gia'
dimostrato nell'ordinanza di questo tribunale del 21 agosto 2001, che
gia'  al  momento  dell'emissione del primo titolo custodiale il p.m.
procedente  aveva  a  disposizione  tutti  gli  elementi  necessari e
sufficienti  per  contestare  al  Rea  anche  tale  fatto,  donde  la
necessita'  da  parte  di  questo  giudice  del  rinvio,  di invocare
l'intervento  della Corte costituzionale per il rispetto del principo
di  cui  all'art. 13,  quinto  comma  della  Costituzione  con cui il
principio  di diritto enunciato dalla Corte rescindente si ritiene in
contrasto.
    Ma   anche   con   riguardo   all'   imputazione  associativa  ex
art. 416-bis,  oggetto  della seconda ordinanza, deve pervenirsi alla
medesima conclusione.
    Premesso  invero  che  anche  in  ordine  a  siffatta imputazione
risulta incontestabilmente (cfr. ordinanza del 21 agosto 2001) che il
p.m.  era  in  possesso di tutti gli elementi necessari e sufficienti
per   la   contestazione   del  reato  associativo  gia'  al  momento
dell'emissione  dell'ordinanza  cautelare  del 16 ottobre 1998 per il
duplice  omicidio Fico/Porricelli (tant'e' che detto delitto e quelli
connessi  erano  ritenuti  aggravati  ex art. 7 legge n. 203/1991 per
aver  il  Mollo  ed  il Rea agito avvalendosi delle condizioni di cui
all'art. 416-bis   c.p.,   essendo   gli   stessi   appartenenti   ad
organizzazione    camorristica),    va   richiamato,   per   ribadire
l'insussitenza  della  connessione  qualificata  di  cui all' art. 12
lett. c) c.p.p. o del vincolo della continuazione di cui alla lettera
b)   del  medesimo  art. 12  c.p.p.  tra  il  delitto  associativo  e
l'omicidio  Fico/Porricelli  gia'  contestato  con la prima ordinanza
cautelare,  l'insegnamento  giurisprudenziale  assolutamente dominate
nella  giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione  -  dal  quale la
sentenza  rescindente  non  si  e',  con  il  passaggio motivazionale
riportato  nell'ordinanza  della  Corte costituzionale, espressamente
discostata  tanto  da  vincolare  anche  sul punto questo giudice del
rinvio-secondo  cui tra reato associativo e singoli reati fine non e'
ravvisabile  un vincolo rilevante ai fini della continuazione e, meno
ancora,   della   connessione   teleologica,   tranne   che   ricorra
l'eccezionale   ipotesi  in  cui  risulti  che  gia'  ab  inizio,  un
determinato  soggetto  abbia  individuato,  nell'ambito  del generico
programma  criminoso dell'associazione, uno o piu' specifici fatti di
reato,  da  lui  commessi  (cass.  sez. 5ª, 10 gennaio 2002 n. 873 in
Guida  al  Diritto,  2002,  12,  72),  ipotesi  che  certamente e' da
escludere  con  riferimento  al  duplice omicidio oggetto della prima
ordinanza    cautelare    posto    che   l'esecuzione   dei   coniugi
Fico/Porricelli  -  seguita  quasi  immediatamente alle dichiarazioni
rese nel dicembre 96 da Fico Domenico con le quali, per scagionare il
figlio, ammise di aver segnalato agli assassini gli spostamenti della
vittima  designata,  cioe'  il  Rea  Francesco, favorendo in tal modo
invece  l'uccisione  del di lui fratello Giuseppe) e' il frutto d'una
iniziativa  criminale  presa dal Mollo per dare soddisfazione al Rea,
suo  sodale  e  pertanto,  per  quanto  utile a dimostrare il vincolo
associativo  esistente  tra  i  due,  non  presenta  alcun vincolo di
connessione  teleologica o continuazione con reato associativo, posto
che  nulla induce a ritenere che il Mollo o il Rea avessero sin dall'
inizio  della  loro condotta associativa (che risulta contestata come
ancora  in  atto  senza  indicazione di una data iniziale) previsto e
deliberato,  anche se solo nelle linee essenziali il duplice omicidio
di cui trattasi.
    Deve  dunque  concludersi  che anche con riferimento all' ipotesi
associativa   il  principio  di  diritto  enunciato  dalla  Corte  di
cassazione  imporrebbe  a  questo  giudice  di  rinvio il rigetto del
gravame proposto dalla difesa del Rea che andrebbe invece accolto ove
si  seguisse  l'interpretazione  dell'art. 297,  terzo comma ritenuta
costituzionalmente   conforme,   donde  la  necessita'  di  rimettere
nuovamente la questione all'esame della Corte costituzionale.
    Invero  l'applicazione  del  principio di diritto enunciato dalla
sentenza  rescindente  della Corte di cassazione - che limita ai soli
casi   di   reati  legati  dal  vincolo  di  connessione  qualificata
l'applicabilita'  della  disciplina dell'art. 297, terzo comma c.p.p.
pur  nell'ipotesi che anche per essi l'A.G. disponesse degli elementi
necessari  e  sufficienti per procedere alla contestazione gia' prima
dell'emissione  del primo provvedimento restrittivo - impone a questo
giudice  di rinvio, obbligato a rispettarlo, un'interpretazione della
norma  in  contrasto  con  il dettato costituzionale (art. 13, quinto
comma  della  Costituzione)  che  riserva  alla  legge  la durata dei
termini  di  custodia,  giacche'  lascerebbe arbitro il p.m., gia' in
possesso  degli  elementi sufficienti alla contestazione di reati non
legati  da  connessione  qualificata  con  quello oggetto della prima
ordinanza, di procrastinarne la contestazione cosi' prolungando a sua
discrezione  il termine, certo ed invalicabile, di custodia stabilito
dalla  legge  (come e' avvenuto nel caso di specie in cui l'ordinanza
cautelare per il reato associativo e per l'altro episodio omicidiario
- in relazione ai quali si e' accertato incontestabilmente che l'A.G.
era  in  possesso degli elementi necessari ad integrare le condizioni
di  cui  all'art. 273  c.p.p.  gia'  prima dell'emissione della primo
provvedimento cautelare - e' stata emessa un anno e quattro mesi dopo
la prima ordinanza relativa all'omicidio Fico/Porricelli).